giovedì 2 ottobre 2008

Oggi "Diamo I Numeri", Ma Una Volta Era Così?

Fino agli inizi degli anni settanta, il gioco del calcio era fatto di tattiche e schemi molto rigidi, ed un regolamento ancora in via di sviluppo. Se si paragona il gioco di allora con quello moderno, sarebbero tantissime le differenze che distinguono i due stili. Tra le cose che sono cambiate di più - oltre al pallone da calcio, vero e proprio strumento del gioco - vogliamo rammentare anche le divise dei giocatori, in particolar modo la numerazione.

Inizialmente, il numero sulla maglietta - tanto meno il nome - non erano presenti, ma venne presa la decisione di aggiungerli alla divisa - prima l'uno e poi l'altro - in modo da semplificare il riconoscimento del giocatore in campo. In epoche non troppo remote il numero della divisa di un calciatore - oltre che servire la funzione di riconoscimento - gli attribuiva un determinato ruolo in campo, una sorta di codificazione per la posizione da assumere nello schieramento. Non c'era l'abitudine di dare numeri strampalati o casuali; chi andava in campo indossava dal numero uno all'undici, mentre chi andava in panchina portava dal dodici in poi.

Il numero 1 era sempre attribuito al portiere titolare, mentre il 12 stava ad indicare il secondo portiere in panchina. I numeri 2 e 3 solitamente rappresentavano i terzini, rispettivamente destro e sinistro, che si facevano la fascia per proporsi nella manovra offensiva, ma dovevano tornare immediatamente per coprire. Il 4 ed il numero 8 erano i "faticatori" del centrocampo, i famosi mediani, che coprivano le zone interne del centrocampo e spezzavano il gioco altrui. Due ruoli che ormai non esistono più sono quello dello stopper - indicato con il 5 - che era un difensore centrale roccioso, ed il libero - rappresentato con il 6 - che era un mediano/difensore che arretrava ad aiutare nella fase difensiva, ma si sganciava spesso per impostare l'azione ed essere il fulcro del gioco. I numeri 11 e 7 erano usati per le "ali alte" destra e sinistra, che spesso facevano parte della linea dei centrocampisti in fase difensiva, per poi proiettarsi in avanti quando l'azione si trasformava in offensiva - una sorta di "tornante" - con l'undici che era più addetto a supportare la punta principale. Il centravanti - o punta principale - era indicato con il numero 9 e da sempre rappresenta quel giocatore che finalizza le azioni e crea gli spazi e le sponde per i compagni. Oltre che dalle ali, gli assist per il centravanti arrivavano dal numero 10, il "regista", cioè letteralmente quello che fa girare tutto, l'inventore del gioco.

Tutto questo avveniva senza la presenza dei cognomi dei calciatori sulle maglie, quindi all'inizio di ogni partita venivano assegnate indifferentemente le casacche; non c'era necessariamente una persona fissa ad indossare un numero particolare, poiché poteva capitare di passare una giornata in panchina e quindi prendere un numero più alto degli undici titolari. Tuttavia, sin da allora, si tende ad identificare un certo giocatore abbinato ad un dato numero, una consuetudine che esiste sin dall'esistenza del gioco. Il metodo era rigido, ma d'altronde era una disciplina e non un gioco totale, fino a che gli arancioni d'Olanda non ebbero la bella trovata nel 1974 di mischiare le carte in tavola, presentandosi con una numerazione totalmente casuale ed inusuale - pensate che Cruyff indossava il 14 - , scombussolando letteralmente un sistema che era stato perfettamente rispettato fino ad allora. Da quel momento in poi iniziarono a saltare questi schemi fissi, ed ogni giocatore si sceglieva un numero che significava qualcosa, o che comunque li divertisse - rimanendo comunque tra l'uno ed il venti.

Le regole di una volta erano saltate, ma non ci furono grandi tragedie, ed il nuovo sistema venne accolto da tutti. Il prossimo grande stravolgimento avvenne nei primi anni novanta; anni in cui il calcio guadagnava sempre di più a livello di popolarità e si iniziava ad intravedere il "business" che poteva rendere questo sport seguitissimo. Si decise di aggiungere il cognome alle magliette dei giocatori, principalmente per motivi di riconoscimento, ma secondariamente anche per motivi commerciali, poiché si poteva finalmente acquistare la maglietta personalizzata del proprio beniamino, incrementando le vendite dell'oggettistica delle squadre. Questo rappresentò uno spot immenso per il mondo del calcio, che ora oltre che con i numeri, pubblicizzava i giocatori proprio per cognome. Oltre a questo cambiamento, arrivò un'altra innovazione, che fu quella di "slimitare" la scelta del numero di maglia, con i giocatori che potevano portare sulla propria divisa un qualunque numero valido, affinché esso venga comunicato nelle note di gara alla direzione arbitrale.

Inizialmente non venne considerato moltissimo questo aspetto, ed i numeri "antichi" mantenevano sempre il loro fascino. Ma lentamente alcuni giocatori sceglievano i numeri in base alla loro importanza e rilevanza personale: una data di nascita, l'età, i gol che volevano segnare, un ricordo o qualsiasi altra cosa che potessero legare. Diventava una cosa sempre più personale ed i giocatori avevano un attaccamento morboso - in alcuni casi - alla propria maglietta e non volevano cederla a nessuno. La storia la conosce bene Ivàn Zamorano, che si vide strappare il numero 9 dal nuovo arrivato - uno qualunque - Ronaldo, ma pur di non abbandonare totalmente quel suo adorato numero, si fece stampare sulla maglia un 18 con un "più" tra le cifre, ottenendo 1+8, cioé 9. Questo fu sicuramente il trampolino di lancio per tutti gli altri, che iniziarono a scegliere numeri strampalati - come il 99 e via dicendo - e si vedono pure portieri con il 10 e attaccanti con il 2; insomma un vero e proprio dare i numeri.

Tuttavia, in alcune società, è stato deciso - per rispetto verso alcuni elementi - di ritirare i numeri di maglia dei giocatori che hanno segnato momenti particolari per i club. Questa abitudine - adottata dagli sport americani - ebbe inizio dopo la stagione 1996/1997, in cui Franco Baresi si ritirò dal calcio giocato e quindi dal Milan. Da allora, la maglietta numero sei, non viene più utilizzata da nessun giocatore. Altre maglie storiche sono: il 10 di Maradona a Napoli, il 4 di Michele Mignani a Siena, il 10 a Brescia per Baggio, il 41 di Sullo a Messina (essendo tornato in campo dopo aver sconfitto il tumore) ed il leggendario 11 a Cagliari di Riva. Come si vede, sono spesso giocatori simbolo quelli che si decidono di ricordare ed onorare con questo speciale rito. Talvolta accade che alcune società ritirino la maglia numero 12 in onore della propria tifoseria, considerata come il dodicesimo uomo in campo (Genoa, Lazio e Torino hanno ritirato il 12 per questo motivo). Purtroppo, non ci sono sempre momenti allegri per ricordare alcune vecchie glorie, in altri casi si decide di ritirare la maglia in simbolo di simpatia per eventi tristi, come accadde a Genoa, che venne ritirato il numero 6 di Signorini, colpito dal Morbo di Gherig. Altre maglie ritirate - non proprio "celebrative" - sono quelle: Niccolò Galli (Bologna 27), Jason Mayélé (Chievo 30), Federico Pisani (Atalanta 14), Vittorio Mero (Brescia 13), Adriano Lombardi (Avellino 10) ed il grandissimo Giacinto Facchetti, leggendario numero 3 dell'Inter.

Il numero di maglia rimane, quindi, sulla pelle di un calciatore anche dopo aver cessato l'attività, ed a volte pure dopo il decesso. Il ricordo che hanno i tifosi - e gli amanti del calcio in genere - di un particolare giocatore verranno sempre in qualche modo legati a quel codice che portava sulla divisa; che cosa rappresentasse per il giocatore non importava, quel che rimane è quel che il giocatore ha rappresentato per i suoi tifosi.


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